Asvis e l'Agenda 2030 ONU: consapevolezza, partecipazione e comunicazione dello sviluppo sostenibile
Pierluigi Stefanini è presidente di ASviS dal 2022, dopo aver rivestito posizioni apicali in Legacoop Bologna, Coop Adriatica e Gruppo Unipol.
In vista di Sustainabol, la manifestazione che mette al centro il tema della conversione ecologica e dello sviluppo sostenibile, di cui Redesign Sustainability Communication sarà sponsor, abbiamo incontrato Pierluigi Stefanini per illustrare la funzione e le attività di ASviS e fare un punto sulla situazione italiana relativa a queste importanti tematiche.
Non manca, inoltre, un focus sul PNRR, su cui l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile ha effettuato analisi approfondite evidenziando, oltre agli innegabili elementi positivi, anche rilevanti mancanze e criticità.
Cecilia
Che cos’è l’ASviS? Quali sono le principali attività dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile?
PS: L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) è nata nel 2016 per diffondere la cultura dello sviluppo sostenibile, in particolare facendo crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 ONU. Ad oggi, l’ASviS riunisce nella sua rete oltre 300 soggetti che si occupano di tematiche riconducibili ai target degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs – Sustainable Development Goals) che sostanziano l’Agenda 2030.
La nostra missione e i principali assi di intervento sono:
– lo sviluppo di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, orientando a tale scopo i modelli di produzione e di consumo;
– l’analisi delle implicazioni e le opportunità per l’Italia legate all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile;
– il contributo alla definizione di una strategia italiana per il conseguimento degli SDGs (anche utilizzando strumenti analitici e previsivi che aiutino la definizione di politiche per lo sviluppo sostenibile) e alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei progressi dell’Italia su questi temi.
Nella convinzione che l’impegno dei cittadini, della società civile e delle aziende del Paese non possa essere svincolato da una chiara e decisa politica nazionale, l’ASviS ritiene fondamentale condurre un dialogo costante con le istituzioni, e si impegna a proporre politiche volte al raggiungimento degli SDGs (anche andando oltre l’orizzonte del 2030), sviluppando strumenti analitici utili per valutarne l’impatto.
A questo si affianca l’attenzione all’educazione e alla formazione che si rivolge a diversi target: giovani generazioni, imprese, istituzioni pubbliche e organizzazioni della società civile nella direzione dello sviluppo sostenibile e, in particolare, sull’acquisizione di competenze trasversali.
Esplicativo dell’impegno dell’ASviS per sensibilizzare e mobilitare cittadini, giovani generazioni, imprese, associazioni e istituzioni sui temi della sostenibilità economica, sociale e ambientale, è il Festival dello Sviluppo Sostenibile, organizzato ogni anno dall’ASviS in collaborazione con gli oltre 320 Aderenti che compongono la rete. Giunto nel 2023 alla sua settima edizione, il Festival si terrà dal 8 al 24 maggio in tutta Italia e online.
Gli SDGs sono elementi sempre più visti e utilizzati (specialmente online) ma, eccetto per quanto riguarda gli addetti ai lavori, raramente si ha la consapevolezza di cosa significhino realmente. Che cosa rappresentano e perché sono così importanti nella pianificazione strategica dei prossimi anni?
PS: L’Agenda globale definisce 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese), articolati in 169 Target, che rappresentano una bussola per porre l’Italia e il mondo su un sentiero sostenibile. Sono dei focus tematici, interconnessi tra di loro. Gli ultimi anni hanno contribuito ad una crescita esponenziale di una sensibilità collettiva nei confronti di alcune tematiche dello sviluppo sostenibile, e le normative internazionali, europee e nazionali influenzano in modo sempre più importante i modelli di produzione e le sensibilità dei consumatori. I media tradizionali, così come le possibilità offerte dai social media, veicolano informazioni e messaggi che hanno portato le tematiche della sensibilità in contatto con una platea di cittadini sempre più vasta. Allo stesso tempo, il proliferare di informazioni può generare il rischio di confusione se non di mistificazione della parola Sostenibilità. E’ bene quindi che tanto i giornalisti quanto gli operatori del settore pongano particolare attenzione alla qualità delle informazioni. In questo senso, l’Educazione allo Sviluppo sostenibile, intesa come un’educazione rivolta alla comunità nel suo insieme e in tutte le sue componenti, è emblematica della trasversalità e universalità dell’Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile, nonché della sua importanza.
Lo stato del nostro pianeta e del benessere sociale, così come analizzato dagli indicatori di sviluppo sostenibile, la frattura della pandemia, le guerre e gli scenari geopolitici mondiali, ci impongono di ripensare e cambiare passo. Siamo in emergenza: per ripartire bisogna prendere con decisione la strada della sostenibilità. Occorre un grande cambiamento, anche culturale, che deve essere innescato dalla politica e dalle istituzioni. Di fronte alla complessità di questo scenario, l’Agenda 2030 delinea un percorso chiaro: poiché le tre dimensioni dello sviluppo (economica, ambientale e sociale) sono strettamente correlate tra loro, ciascun Obiettivo non può essere considerato in maniera indipendente ma deve essere perseguito sulla base di un approccio sistemico, che tenga in considerazione le reciproche interrelazioni e non si ripercuota con effetti negativi su altre sfere dello sviluppo.
Ad oggi qual è, secondo te, la situazione italiana relativa ai temi della sostenibilità ambientale e della salvaguardia dell’ecosistema? Vedi una maggiore consapevolezza nei cittadini riguardo queste tematiche rispetto al decennio precedente?
PS: Relativamente agli obiettivi quantitativi a prevalente dimensione ambientale, negli ultimi cinque anni si segnalano andamenti poco rassicuranti. Solamente l’obiettivo relativo alle coltivazioni biologiche mostra progressi significativi. Sette obiettivi sperimentano progressi ancora insufficienti, mentre per tre obiettivi si assiste a un peggioramento.
Tra il 2010 e il 2021 si registrano miglioramenti per otto SDGs, solo uno rientra nella dimensione ambientale dell’Agenda (lotta al cambiamento climatico – Goal 13). Si evidenzia un peggioramento complessivo per cinque SDGs tra cui acqua (Goal 6) ed ecosistema terrestre (Goal 15). Mentre rimane sostanzialmente invariata la situazione per la tutela degli ecosistemi marini (Goal 14). Rispetto al periodo pre-pandemico, invece, nel 2021 l’Italia mostra miglioramenti soltanto per due Goal (Goal 7 e 8), mentre per altri due (Goal 2 e 13) viene confermato il livello del 2019. Per tutti i restanti SDGs il livello registrato nel 2021 è ancora al di sotto di quello del 2019, a conferma che il Paese non ha ancora superato gli effetti negativi causati dalla crisi pandemica.
Per fare un esempio, gli obiettivi complessivi della nuova Strategia europea prevedono che al 2030 almeno il 30% della terra e il 30% del mare nell’Ue debba essere protetto. Eurostat rileva che per quanto riguarda le aree di terra terrestre protetta (Goal15), nel 2021 la media europea era pari al 21%, mentre l’Italia registrava un 21.4%.
L’edizione 2022 del Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” a cura del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e ISPRA rileva che, con una media di 19 ettari al giorno (il valore più alto negli ultimi dieci anni) e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.
Dall’indagine condotta nel 2022 da Ipsos per conto dell’ASviS, emerge una diffusa preoccupazione, soprattutto per le conseguenze della crisi climatica. La dimensione ambientale prevale anche quando è stato chiesto alle persone quale delle quattro dimensioni dello sviluppo sostenibile fosse la più importante. Tuttavia, per quasi una persona su tre (32%) non c’è una vera priorità: ciascuna delle quattro dimensioni deve essere portata avanti.
La ricerca rileva che è soprattutto tramite i social media e il web che i cittadini si sono avvicinati al piano d’azione delle Nazioni unite. In negativo c’è da registrare il fatto che solo il 15% ne ha sentito parlare a scuola, contesto dove si ritiene debba essere invece più presente.
L’educazione allo sviluppo sostenibile diventa oggi un obiettivo strategico per il presente e per il futuro del nostro Paese. La sfida ambientale, infatti, non è più eludibile per le future generazioni. Ci troviamo in un’epoca che impone al mondo intero, ma in particolare all’Italia e all’Europa, scelte radicalmente diverse da quelle compiute in passato: lontane dal modello produttivo tradizionale, dirette verso un nuovo modello di economia che rispetti l’ambiente, orientate ad una società che non produca rifiuti ma sappia creare ricchezza e benessere con il riutilizzo e la rigenerazione delle risorse. In questo quadro, un ruolo importantissimo è svolto dalle giovani generazioni e dal loro impegno per il conseguimento degli Obiettivi dell’Agenda. Nel 2020 abbiamo invitato le associazioni giovanili delle organizzazioni già aderenti all’Alleanza – ma non solo – a riunirsi in un Gruppo di lavoro trasversale. Ad oggi fanno parte del Gruppo più di 30 realtà giovanili impegnate, tra le altre cose, a valutare l’impatto e le implicazioni delle politiche per le generazioni future attraverso una valutazione sistematica in un’ottica intergenerazionale, e a dare voce ai tanti volti dell’impegno delle giovani generazioni per costruire una società resiliente e salvaguardare il pianeta.
Come ASviS vi siete ampiamente occupati del PNRR e delle risorse da esso stanziate. Quali sono i progetti più importanti, connessi al tema della sostenibilità ambientale, intrapresi dal nostro paese?
PS: Sebbene il PNRR resti il più importante piano del Paese sulla sostenibilità, le analisi dell’Alleanza sul Piano hanno portato alla luce alcune criticità sul tema ambientale. Pesano, per esempio, l’assenza di un allineamento ai nuovi target climatici europei, insieme al mancato approfondimento di obiettivi fondamentali come la giusta transizione. Nel Piano, inoltre, non sono presi in considerazione alcuni temi di fondamentale importanza, quali la tutela della biodiversità e le misure di adattamento ai cambiamenti climatici. Ci sono altresì poche indicazioni sulla riduzione dell’inquinamento, nonostante almeno il 37% dei fondi erogati dovrebbe essere destinato alla transizione ecologica. Sono comunque presenti alcuni progetti importanti da portare avanti per migliorare l’aspetto ambientale nel nostro Paese e che andrebbero integrati con altri provvedimenti che deve prendere il Governo. Penso per esempio all’ammodernamento e al potenziamento della rete ferroviaria per ridurre il traffico merci e dei cittadini su gomma; l’efficientamento della rete idrica che oggi disperde in media il 42% dell’acqua immessa in rete; su questo il PNRR ha previsto investimenti per circa tre miliardi di euro. Anche se non pienamente soddisfacente, è comunque un buon punto di partenza. I finanziamenti relativi all’efficienza energetica sono importanti ma, anche in questo caso, non sono adeguati per raggiungere i target per le rinnovabili alla scadenza del 2026 (per raggiungere gli obiettivi prefissati in sede Ue bisognerebbe installare entro quella data almeno 40 GW di fonti rinnovabili).
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La Carta di Bologna per l'Ambiente
Cecilia
Nel 2017 i sindaci e i rappresentati delle Città metropolitane, riuniti a Bologna, hanno sottoscritto la Carta di Bologna per l’Ambiente: “Le Città metropolitane per lo sviluppo sostenibile”.
Si tratta, in estrema sintesi, di un impegno da parte delle Città metropolitane a perseguire quelli che sono gli obiettivi dettati dall’Agenda 2030 ONU in materia di sviluppo sostenibile e di lotta al climate change.
Quali sono le linee guida della Carta di Bologna per l’Ambiente?
In linea generale, le Città metropolitane danno forma e struttura al loro impegno a favore della salvaguardia ambientale e della riduzione dell’impatto sull’ecosistema, in particolare:
- attraverso il coordinamento e la gestione di iniziative locali e comunali, indicando le linee guida che rimandino agli obiettivi di riferimento dell’Agenda 2030 ONU;
- tramite la promozione e il supporto all’educazione riguardo lo sviluppo sostenibile delle nuove generazioni, con particolare riferimento ai temi trattati nella Carta di Roma (2016);
- favorendo il coinvolgimento attivo della cittadinanza e delle associazioni della società civile, tramite una condivisione e un dialogo costante con le principali organizzazioni economiche, ambientaliste e del Terzo Settore;
- promuovendo un confronto e una rendicontazione puntuale dei risultati con i livelli istituzionali più elevati, come Governo e Regioni.
Gli otto punti cardine della Carta di Bologna per l’Ambiente
Oltre alle linee guida di carattere generale, la Carta di Bologna per l’Ambiente stabilisce otto punti principali, corrispondenti a otto specifici temi riferibili alla sostenibilità ambientale, ognuno dei quali con un relativo target da raggiungere.
- Economia circolare: le Città metropolitane si impegnano a raggiungere gli obiettivi europei più ambiziosi su questo tema, a partire dal portare riciclo e raccolta differenziata al 70% e discarica massimo al 5% dei rifiuti al 2030;
- Tutela del territorio: le Città metropolitane si impegnano a ridurre del 20% il consumo di suolo netto al 2020. Questo target prevede un’orizzonte ben preciso delle politiche urbanistiche, sempre più orientate verso la rigenerazione urbana sostenibile;
- Lotta al climate change: l’obiettivo è prevenire il rischio di disastri naturali provocati dal cambiamento climatico. In questo senso, diventa fondamentale integrare i dispositivi già in vigore (Italia Sicura, Casa Italia, ecc) con piani ad hoc incentrati sulla rigenerazione urbana l’attenzione alle periferie, la riqualificazione energetica degli edifici (specie quelli di costruzione più antica) e l’adattamento del patrimonio edilizio alle normative sul rischio sismico e idrogeologico;
- Transizione energetica e qualità dell’aria: le Città metropolitane stabiliscono target ambiziosi, anche più di quanto deciso dagli organismi sovranazionali. Riduzione delle emissioni di gas serra del 40% entro il 2025, riduzione delle polveri sottili nell’aria a 10 μ/mc entro il 2025, limite ancora più restrittivo di quello europeo (25 μ/mc al 2015; 20 μ/mc al 2020);
- Lotta agli sprechi idrici: l’obiettivo è riduzione delle perdite idriche delle reti del 20% entro il 2030;
- Città sostenibili: le Città metropolitane si pongono l’obiettivo di raddoppiare entro il 2030 la superficie media di verde urbano per abitante, arrivando a 30 mq per abitante;
- Mobilità sostenibile: l’impegno è di raggiungere almeno il 50% di mobilità sostenibile tra auto e moto entro il 2020.
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Smart working e sostenibilità ambientale
Cecilia
Lo smart working è una modalità di lavoro che si è diffusa sempre di più negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla traumatica esperienza della pandemia. Questo tipo di lavoro consente di svolgere le proprie attività lavorative da casa o da luoghi alternativi all’ufficio, utilizzando la tecnologia per mantenere la comunicazione e la collaborazione con i colleghi e i clienti.
Oltre ai potenziali vantaggi in termini di flessibilità e di riduzione degli spostamenti, lo smart working sembrerebbe avere anche un impatto positivo sull’ambiente. La riduzione degli spostamenti in auto o in altri mezzi di trasporto comporta una diminuzione delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti nell’atmosfera. Inoltre, la riduzione degli spostamenti porta a una diminuzione del traffico stradale e dei relativi problemi di congestione del traffico.
Ma i benefici ambientali dello smart working non si limitano alla riduzione delle emissioni di gas serra e ai problemi di congestione del traffico. La modalità di lavoro remoto può anche ridurre il consumo di carta e di altre risorse utilizzate negli uffici, come energia elettrica, acqua e prodotti per la pulizia. Inoltre, la riduzione dell’utilizzo di spazi fisici per gli uffici può anche contribuire a ridurre il consumo di materiali edili e di mobili.
Digital workspace: cos’è?
Il digital workspace è un concetto che si riferisce alla creazione di un ambiente di lavoro digitale integrato che consente ai lavoratori di accedere ai dati, alle applicazioni e ai servizi di cui hanno bisogno per svolgere il proprio lavoro ovunque e in qualsiasi momento. Il digital workspace è alimentato dalla tecnologia cloud, che consente l’accesso ai dati e alle applicazioni da qualsiasi dispositivo e in qualsiasi luogo, purché ci sia una connessione a Internet.
Il digital workspace offre una serie di vantaggi rispetto ai tradizionali ambienti di lavoro fisici. Innanzitutto, consente ai lavoratori di accedere ai dati e alle applicazioni di cui hanno bisogno in qualsiasi momento e da qualsiasi dispositivo da remoto in modo veloce e affidabile. Inoltre, consente di collaborare in modo più efficiente, poiché è possibile accedere ai dati e alle informazioni in tempo reale, condividere file e comunicare tramite chat o videoconferenze.
Ma il digital workspace offre anche importanti vantaggi dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Infatti, l’utilizzo del cloud computing consente di ridurre l’impatto ambientale dell’infrastruttura IT, poiché i server e i data center vengono condivisi tra molti utenti, riducendo il consumo di energia elettrica e di altre risorse. Inoltre il digital workspace, come il già citato smart working, consente di ridurre gli spostamenti in auto o in altri mezzi di trasporto, poiché i lavoratori possono lavorare ovunque si trovino, senza doversi spostare in ufficio.
Digital Workspace e privacy
E’ importante sottolineare che l’adozione del digital workspace richiede una corretta gestione della sicurezza dei dati e della privacy, poiché l’accesso ai dati e alle applicazioni avviene da qualsiasi dispositivo e da qualsiasi luogo. È quindi necessario utilizzare tecnologie avanzate di sicurezza informatica per proteggere i dati e prevenire eventuali violazioni della privacy.
In conclusione, il digital workspace può rappresentare una soluzione innovativa per migliorare la collaborazione tra i lavoratori e allo stesso tempo ridurre l’impatto ambientale dell’infrastruttura IT e degli spostamenti in auto. Tuttavia, è importante prestare attenzione alla gestione della sicurezza dei dati e della privacy, per garantire la sicurezza delle informazioni aziendali e dei lavoratori stessi.
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Cecilia
La sostenibilità è un tema che riguarda ogni aspetto della nostra vita, compreso il mondo digitale e i siti web.
La necessità di ridurre l’impatto ambientale dei siti web è sempre più pressante e molti sviluppatori stanno cercando di adottare pratiche sostenibili. Gli enormi server e l’infrastruttura di internet richiedono una grandissima quantità di energia elettrica, che spesso proviene da fonti non rinnovabili e contribuisce all’aumento delle emissioni di gas serra. La consapevolezza dell’impatto ambientale del mondo digitale sta fortunatamente aumentando e sta spingendo sempre più aziende a cercare soluzioni sostenibili per i loro servizi online.
Di seguito riportiamo alcuni suggerimenti per rendere il più possibile sostenibile il sito internet della tua azienda.
Utilizza un hosting “verde”
Il primo passo per creare un sito web sostenibile è quello di utilizzare un hosting verde. Questo significa scegliere un’azienda che utilizza energie rinnovabili per alimentare i propri server. Alcuni hosting verdi utilizzano addirittura l’energia solare o eolica per alimentare i propri data center. Inoltre, gli hosting verdi spesso utilizzano tecniche avanzate per il risparmio energetico, riducendo ulteriormente l’impatto ambientale. Una scelta di questo tipo rappresenta un passo importante nella creazione di un sito web sostenibile e responsabile.
Velocità e Design
Un altro fattore importante da considerare è la velocità del sito web. Un sito che si carica rapidamente non solo migliora l’esperienza degli utenti, ma anche la sua sostenibilità. Un sito che richiede più tempo per caricarsi richiederà anche più risorse per essere visualizzato. Ciò significa che un sito più veloce richiederà meno risorse e avrà un’impronta ecologica più ridotta.
Inoltre, anche il design del sito web è molto importante da considerare. Un design minimalista e pulito non solo rende il sito più facile da navigare, ma anche più sostenibile. La riduzione del numero di immagini, video e altri elementi grafici può ridurre il carico sulla rete elettrica. Inoltre, l’utilizzo di colori scuri invece di colori bianchi può ridurre il consumo di energia necessario per visualizzare un sito.
Codice e programmazione
È importante utilizzare un codice pulito e leggero. Un codice più leggero e più efficiente riduce il tempo necessario per caricare il sito e quindi riduce l’impronta ecologica. Inoltre, un codice più leggero può essere caricato più facilmente su dispositivi mobili, che spesso hanno risorse limitate.
Infine, il contenuto del sito web deve essere creato in modo sostenibile. Questo significa utilizzare immagini e video di alta qualità ma ottimizzati, in modo da non appesantire il sito stesso. Inoltre, è importante utilizzare contenuti di alta qualità e in linea con gli standard di sostenibilità.
In sintesi, creare un sito web sostenibile richiede un approccio olistico che consideri tutti gli aspetti del processo di creazione e di utilizzo del sito. Dalla scelta dell’hosting alla progettazione del sito, fino alla scrittura dei contenuti, ogni aspetto deve essere valutato con attenzione per ridurre l’impatto sull’ambiente e garantire la sostenibilità del sito web.
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Verso COP28: il futuro della sostenibilità
Cecilia
Il grande tema della sostenibilità ambientale, della rendicontazione delle performance e della lotta al cambiamento climatico sta via via assumendo sempre più importanza e centralità nel dibattito quotidiano dopo che, per anni, è stato affrontato in maniera fin troppo tecnica, lontana dalle priorità di cittadini e aziende.
Abbiamo quindi scelto di intervistare chi della diffusione capillare di questi temi si occupa da lungo tempo, nonostante la giovane età. Nadia Paleari, Innovation & Sustainability Strategist e consulente per Refe – Strategie di sviluppo sostenibile (partner di Redesign Comunicazione ormai da più di dieci anni) ha riassunto per noi la sua esperienza a COP27, allargando l’orizzonte anche sulla manifestazione del prossimo anno e sulla situazione italiana in merito a queste tematiche.
COP27 è stato un appuntamento fondamentale per tracciare le linee guida che accompagneranno il pianeta in quelli che molti definiscono “la sfida più importante del nuovo millennio”, ovvero la tutela della sostenibilità ambientale e la lotta al climate change. Quali sono stati i punti e gli eventi salienti della manifestazione?
N: COP27 è già diventata una pietra miliare nella storia della diplomazia climatica, e per tutte le due settimane di intensi negoziati ha attirato l’attenzione dei media e del grande pubblico, consacrando il passaggio della Conferenza da evento diplomatico di alto livello, estremamente tecnico, a manifestazione di massa, caratterizzata dal coinvolgimento attivo della società civile nei negoziati. Questo trend mediatico era iniziato già durante la COP26 di Glasgow, dove i riflettori internazionali erano giustificati dal contesto, si trattava infatti della prima edizione dei negoziati dopo due anni di pandemia e del primo appuntamento diplomatico sul clima dopo la nascita e l’affermazione dei movimenti climatici come Fridays for Future. La COP27 di quest’anno, tenutasi a Sharm el-Sheik in Egitto, si è svolta in uno scenario geopolitico diverso e meno favorevole, segnato dall’impatto del conflitto in Ucraina e dalla conseguente crisi energetica mondiale. Inoltre, il 2022 è stato un anno simbolico per la diplomazia climatica: a giugno ci si è riuniti a Stoccolma per celebrare i 50 anni dalla fondazione dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente – fondato nel 1972 proprio nella capitale svedese – e “tirare le somme” di quanto fatto in 5 decenni di climate diplomacy. COP27 è stata caratterizzata dalla presenza, o assenza, dei leader mondiali: se da un lato il forfait di figure come Vladimir Putin (prevedibile) e dei Capi di Stato di India e Cina (più preoccupante), ha fatto sentire il suo peso, dall’altro il neo-eletto presidente del Brasile Lula è stato accolto con entusiasmo e il rinnovato impegno verso le politiche ambientali per la foresta amazzonica ha portato una ventata di energia ai negoziati. Già questo contesto è sufficiente a far capire quanto fosse alta l’aspettativa per COP 27. L’agenda scottante della crisi climatica sempre più pressante e l’urgenza di passare dalle parole ai fatti, ha fatto sì che fosse scelto il tema “Together for Implementation” con l’intento di negoziare il rinnovo e l’attuazione di quanto previsto dall’Accordo di Parigi. I principali obiettivi di questa edizione erano quindi quelli di accelerare gli sforzi per la riduzione graduale dell’uso di combustibili fossili, favorire l’eliminazione graduale dei relativi sussidi e l’implementare una strategia per garantire il rispetto del limite di 1,5° gradi. Ora che il sipario è calato, posso dire che COP27 ha avuto un esito inaspettato e forse migliore di quanto previsto inizialmente. Nonostante le grosse lacune nelle decisioni riguardo alle emissioni e alla mitigazione, COP27 ha portato alla creazione di un Fondo loss and damage e ha fatto passi in avanti importanti sul fronte economico con il riconoscimento della necessità di una revisione del sistema finanziario globale.
A proposito del Loss and Damage Fund: ci vuoi spiegare i tratti principali di questa misura?
N: La decisione storica sull’istituzione di un Loss and damage Fund (Fondo per le perdite e i danni) è stata senza dubbio la grande vittoria di COP27. Si tratta di una misura già proposta e discussa durante le precedenti COP, ma mai fino ad ora formalmente approvata a causa dello stallo geopolitico tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati, dovuto alle questioni di responsabilità e di finanziamento ad esso collegate. Il Loss and Damage Fund sancisce un traguardo storico perché riconosce finalmente il diritto alla compensazione, tramite un meccanismo di aiuti finanziari globale, per le conseguenze degli eventi climatici catastrofici causati dai cambiamenti climatici nei Paesi maggiormente colpiti. Il fondo prevede un supporto finanziario ai paesi per la riparazione e la ricostruzione di infrastrutture, la protezione dei beni culturali e la salvaguardia della vita umana e degli ecosistemi. Possiamo definirlo come uno strumento che rappresenta un passo importante verso la giustizia climatica, come sottolineato dalla Ministra per il Clima del Pakistan, Sherry Rehman, che ha commentato così l’accordo “l’istituzione di un fondo non è un’elemosina, ma un investimento lungimirante per il nostro common future”. Una volta formalmente in vigore, ritengo che abbia il potenziale per diventare uno dei più grandi esempi di cooperazione globale.
Dopo COP 27 quali saranno, secondo te, i futuri temi più importanti che verranno affrontati a COP28?
N: A COP28 l’attenzione dovrà necessariamente rivolgersi alla definizione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra, alla transizione verso fonti di energia pulita e rinnovabili e all’adattamento ai cambiamenti climatici già in atto, temi passati troppo in sordina a COP27. In particolare, posso immaginare una maggiore attenzione sui progressi nell’implementazione degli impegni nazionali per la riduzione delle emissioni (NDCs) adottati a livello globale in occasione dell’Accordo di Parigi del 2015. Si discuteranno inoltre le azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 e la creazione di meccanismi per la trasparenza e la responsabilità per gli impegni presi a livello nazionale e internazionale. Purtroppo già non mancano le polemiche in vista di COP28 e viene da chiedersi quanto di questa agenda potrà essere effettivamente discusso: la nomina di Sultan Al Jaber come Presidente di COP28 ha sollevato non poche critiche e preoccupazioni su potenziali conflitti di interesse, vista la sua posizione di CEO della Abu Dhabi National Oil Company, una della maggiori compagnie petrolifere mondiali.
Nel 2023 è già stato indetto un summit sul clima con focus sulle misure per mantenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C. Quale peso avrà questo argomento a COP28, a tuo parere?
N: La COP28 sarà un’occasione importante per discutere le azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo di mantenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C, noto come “Keep 1.5 alive!”. Questo obiettivo è stato ribadito dal Presidente di COP26, Alok Sharma, come il minimo a cui ambire per permettere lo sviluppo sostenibile e richiederà una significativa riduzione delle emissioni globali di gas serra e una maggiore transizione verso fonti di energia pulita e rinnovabile. Durante la COP28 si discuteranno le azioni da intraprendere per incentivare i paesi ad aderire e rispettare questi obiettivi, nonché le politiche e le tecnologie necessarie per raggiungere tali obiettivi. Inoltre, si discuterà anche su come i paesi possono adattarsi ai cambiamenti climatici già in atto e su come possono prevenire i rischi futuri. Inoltre, la COP28 segnerà anche la chiusura del primo ciclo di valutazione globale dell’Accordo di Parigi . Questo processo, noto come Global Stocktake (GST), ha lo scopo di valutare i progressi collettivi fatti nell’ambito dell’Accordo di Parigi e di identificare le opportunità di azione e sostegno più incisive. In altre parole, a COP28 si farà un “inventario globale” per raccogliere le informazioni fondamentali relative alla verifica dei progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e per identificare le lacune e le opportunità di azione ancora esistenti. Questo bilancio globale aiuterà i Paesi a intensificare l’azione per il clima con lo scopo di agire per evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico.
Chiudiamo con una domanda più sull’as is italiano: in vista di COP28, come si presenterà il nostro paese alla manifestazione del 2023? Qual è, secondo te, la nostra situazione generale rispetto ai temi che verranno trattati?
N: Ritengo che in vista della COP28 l’Italia si trovi ad affrontare una particolare combinazione di sfide e opportunità per quanto riguarda la lotta contro i cambiamenti climatici. Nonostante abbia stabilito obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni, ci sono ancora progressi significativi da fare, soprattutto nel settore dei trasporti, che rappresenta ancora una fonte significativa di emissioni. Inoltre, l’Italia sta affrontando sfide profonde per quanto riguarda l’adattamento ai cambiamenti climatici, ad esempio nella gestione del rischio idrogeologico e nella protezione del patrimonio culturale. Tuttavia, ci sono anche grandi opportunità per il nostro Paese, in particolare nel campo dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica, dove sono stati fatti progressi significativi. Certo, il nostro paese dovrà impegnarsi maggiormente per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ciò richiederà un impegno costante da parte del governo, del settore privato e della società civile per implementare politiche e azioni efficaci. Recentemente, il governo italiano ha pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), ma le recenti dimissioni dell’Inviato Speciale per il Clima, Alessandro Modiano, hanno sollevato preoccupazioni sulla continuazione della strategia intrapresa e sull’attuazione del PNACC. Rimane quindi da vedere come il nuovo esecutivo intenderà proseguire su questi temi, e se l’enfasi sulla sicurezza energetica non andrà a discapito della transizione verso fonti pulite. In quest’ottica, rassicura la conferma del Fondo italiano per il clima, una misura finanziaria quinquennale da oltre 800 milioni sviluppato con Cassa depositi e prestiti (Cdp) sotto il Governo Draghi, ora ereditato dal nuovo esecutivo.
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